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# 18.06

Autobiografia


SCRIVERE SÉ STESSI

 
“… quello che ho appreso indirettamente ha avuto maggior valore di quello che ho visto coi miei occhi. Anche in letteratura, preferisco l’espressione indiretta a quella diretta. Apprezzo più la narrativa della lirica. Comunque, la lirica mi piace anch’essa; mentre provo meno interesse per quelle forme di confidenza e di confessione che oggi vanno tanto di moda. Lì lo scrittore non è allo stato puro, come erroneamente si è portati a credere: è allo stato grezzo.”
(Dal Diario di Carlo Cassola, Novembre 1969)
 
“L’identità interna è costituita dalla memoria autobiografica personale. Questa, dal canto suo, si basa su frammenti di memoria che l’individuo lega l’uno all’altro a formare una narrazione.”“Tutte le narrazioni autobiografiche sono retrospettive (…) In questo senso, si può produrre un’autobiografia definitiva solo al momento della morte.”
 (Agnes Heller “La memoria autobiografica”)
 
Dopo la morte dei miei genitori, dopo aver dovuto lasciare le case dove sono cresciuta e dovendo affrontare scatoloni e scatoloni di “cose” da sistemare, ma soprattutto dopo aver lavorato per più di dieci anni alla costruzione del mio archivio ed aver vissuto più di trent’anni accanto ad un marito storico, il mio sguardo, oggi, si è accorto ed è ricaduto su una pagina di miei appunti di ragazza che prendo ora come buona per introdurre questo argomento.
Il documento recita più o meno così:
L’importanza dello studio della storia.
1 – Fatti selezionati; 2- Significativo per me; 3- In funzione del futuro selezione fantastica.
Quando racconto la mia storia faccio una selezione dei fatti più significativi della mia vita per me. Questa selezione però non è certo obiettiva, ciò che la mia mente tende a ricordare, non sono i fatti più importanti, ma i più significativi. Se apparentemente un fatto accaduto molto tempo fa sembra non incidere sul nostro presente, in realtà ha una grande importanza. Il passato è quello che forma noi stessi, è la nostra storia, la nostra vita, noi siamo quello che abbiamo vissuto. È importante anche per la nostra immaginazione, per tutto quello che noi immaginiamo e creiamo nella nostra mente fantastica.
 
Che cosa significa costruire una rappresentazione di sé stessi? Come mai affrontare questo grande sforzo di riattraversarsi, smontarsi e poi ricostruirsi per riuscire a tirarne fuori una visione compatta? Come tirare fuori un’immagine prima di tutto a sé stessi e poi agli altri di un insieme frammentato di cose? Queste cose formano poi nel loro insieme una massa che può essere definita parte del corpo del proprio lavoro d’artista? Può cioè il dato autobiografico incidere sull’opera dell’artista ed eventualmente come?
Questa sequenza di domande formulano in un certo senso il cammino che ho compiuto nel formare questo spazio che è il mio sito. Nell’insieme potrei dire che quello che si palesa qui dentro è un confessionale, una forma di autorappresentazione e una spezzettata autobiografia costituita da fatti vissuti, rielaborati e reinterpretati. Quello che è continuamente tirato in ballo sono le analisi delle proprie inclinazioni e dei propri modi di essere, le riflessioni costanti sulla pratica e sulle forme che ne sono venute fuori.
Setacciare, filtrare sono le azioni che ho dovuto compiere nell’arco di circa dieci anni per arrivare al succo, al distillato, alla sintesi.
 
Avere deciso di fare un capitolo che si intitola “Autobiografia. Scrivere sé stessi” è come avere voluto affermare che anche l’artista può in prima persona riflettere e contribuire con la propria parola alla formulazione di un discorso su di sé, sul proprio lavoro, sulla propria poetica. E sottolineo contribuire non definire, perché sono convinta che chiunque possa aggiungere ancora qualcosa o addirittura riformulare questa prima interpretazione che noi diamo di noi stessi.
 
Quello che mi interessa fare è tenere aperta la potenzialità che abbiamo di scrivere di noi stessi anzichè farlo per davvero. E poi perché in fondo come dice Carlo Cassola nella citazione che apre questo capitolo “quello che ho appreso indirettamente ha avuto maggior valore di quello che ho visto coi miei occhi”.

Aggiungerei infine che quello che ho tentato qui dentro è solo un accenno solo un’idea di autobiografia e non una autobiografia vera e propria. La ricostruzione fatta qui in solitudine in forma di monologo non mi interessa. Quello che mi piacerebbe invece sono le versioni che potranno dare di me gli altri attraverso un confronto, un dialogo, delle interviste, delle conversazioni…
 
(Scritto nel 2014. Modificato nel 2021, 2024)
 
 
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"L'importanza dell'uso della storia", appunti (1979?)
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Mia madre con me a Pellestrina nel 2013 (Foto L. Pes)
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Il ritratto a matita di mio padre fatto dal fratello Mario Morganti nel 1962
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Il bisnonno Francesco di fronte alla casa da poco costruita a Milano nel 1931
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La vista dal balcone della mia camera da ragazza
altro...
Ph. M. Morganti, 2018
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La collina dove si trovava la casa di Verona in una cartolina degli anni ‘60
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Disegno dello zio Sandro per l’invito ad una delle feste di carnevale per la quali mio padre scriveva storie e le rappresentava facendo il burattinaio. Negli anni poi i “fili” per condurre i giochi sono stati affidati a me.
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A tavola con i miei cugini. Casa di Via Jan, 1973
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Zio Sandro durante la performance “Vincoli”, parte del progetto “Global Tools”, Milano 1976
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Zia Mini in mezzo ai colori nella scuola di ceramica, 1963
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Lago di Garda 1970? Il nonno Carlo è stata la persona che mi ha sempre spinto ad immaginare lontano. In questa foto uno dei giochi che ci piaceva fare insieme. Lanciare i sassi nell’acqua il più lontano possibile, spingendo lo sguardo sempre più avanti.
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Da ragazzina mi piaceva pattinare sul ghiaccio. Non dovendo scegliere il percorso e muovendomi sempre secondo un tragitto prefissato e circolare vivevo quei momenti chiusa su me stessa e aperta nella mente.
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“La Madeleine (ou Le Douleur)” è il dipinto che ho visto con mia nonna Elvira in un viaggio a Parigi all’età di 14 anni. Subito dopo ho deciso che avrei voluto fare la pittrice. In questa foto è riprodotto accanto a mio figlio quando sono tornata a rivederlo nel 2020.
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Carmengloria Morales con me durante l’inaugurazione della sua mostra a Milano nel 2012 (Foto M. Morales Bergmann)
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Frederic Matys Thursz nel suo studio. Foto estratta dal catalogo della sua mostra alla Galleria Lelong di New York nel 1991
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Il mio studio alla N.Y.S.S. nel 1985
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Un angolo del mio studio di Milano, 1988
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Aula Accademia di Brera mentre sto lavorando ad una grande carta nel 1988 (Foto N. Maier)
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Luca e Piero con gli stivali dell’acqua alta nella calle sotto casa, Venezia 2012
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La casa di Venezia riprodotta in una vecchia cartolina degli anni ‘50
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Con Angiola Churchill a Venezia (1988?) durante la sagra di San Giacomo dell’Orio dove ogni estate portavamo con noi gli studenti d’arte. Fare feste, condividere tempo insieme era parte del percorso didattico.
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1988 nella casa in campagna di Linda Francis vicino a New York. Qui mi trovo insieme ad un’altra artista, Gail Molnar, a guardare e discutere i nostri reciproci lavori.
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Con Luca nel 1995 durante il viaggio di nozze visita delle cave di pigmento rosso a Roussilon in Francia
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Preparazione delle tele nel mio studio a Venezia 2004?
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Quadri: Traslocarli fuori dallo studio, dentro lo studio e immagazzinarli. Ecco una delle cose non visibili ma che ha ricoperto tanto di quel tempo della mia attività!
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Ph. L. Pes: 1 1992?, 2 e 3 1998?