# 24.01
Introduzione
INGRANDIRE / RIMPICCIOLIRE
Avvicinarsi / Allontanarsi
“Sono a Venezia, e passo ore beate a guardare. Tutto è un po’ più piccolo del vero, per i miei occhi avvezzi alla dismisura dell’America.”
(Dal “Diario” di Paolo Milano, Venezia, 7 luglio 1947)
“La P. è diventata enorme, morbidissimo, mezzo di trasporto; disteso, sul suo bianco vasto pancione, aggrappato gioiosamente alle sue immense tette che si alzano come rotonde colline dinnanzi a me (…). Come sto bene qua sopra! “
(Da “Il libro dei sogni” di Federico Fellini, 22 settembre 1963)
AVVICINARSI / ALLONTANARSI
Non so se avete mai visto un pittore all’opera, i movimenti che fa, come si muove, avanti e indietro nello spazio, davanti alla superficie del quadro avvicinandosi, indietreggiando per poi accostarsi di nuovo e così via. Non so se avete mai visto i suoi occhi come si comportano mentre guarda, quando li spalanca per concentrarsi e avvicinarsi il più possibile ad un posto ben delimitato sulla superficie su cui sta lavorando e quando invece li strizza per allontanarsi con lo sguardo da ciò che vede. Nel momento dell’allontanamento la distanza si fa gradualmente sempre più lontana fino a far sì che il guardare cominci a prendere in considerazione anche tutto quello che c’è nel mondo esterno mettendo in relazione ciò che sta fuori con ciò che sta dentro al quadro.
Si tratta di un continuo tentativo di mettere a fuoco attraverso la vista un punto preciso sulla tela, da molto vicino e poi subito dopo lo stesso punto in relazione alla totalità del quadro ed oltre, da una posizione scostata, alternando queste due focalizzazioni all’infinito.
Nella visione del pittore coesistono due momenti, da un lato quello ravvicinato, intimo in cui è talmente dentro alla materia, è così attaccato alla superficie da vivere l’atto come massima adesione all’attimo, alla propria scelta, da non riuscire a vedere altro che il proprio colore. Dall’altro il momento dell’allontanamento che determina una visione d’insieme in cui ha una comprensione distaccata del proprio gesto e prende coscienza di ciò che ha fatto. Parte del processo pittorico non è solo il momento in cui si tocca la tela con il pennello intriso di colore, ma anche il prendere distanza da ciò che si fa, capire, per poi riavvicinarsi nel contatto con la pittura.
Questo viavai dello sguardo, questo pulsare della visione è un po’ come fosse il muscolo del cuore nel palpito del battito cardiaco o come il muscolo del polmone che si contrae e si dilata nell’atto del respirare. Si tratta di un andirivieni del corpo e della visione, un’oscillazione continua, un movimento ininterrotto della mente.
È in questa scansione costante tra un contrarsi e un rilassarsi all’infinito che si forma il pensiero e l’azione del dipingere.
Alcune volte nel rapporto quotidiano con la “Ciotola” ho la percezione che sia così piccola, da immaginarla come il mondo che riesco a tenere interamente tra le mani, altre volte invece diventa così grande da non riuscire a vederne più i contorni e sentirmi immersa, un tutt’uno con il colore. Alterno, con ritmicità, momenti in cui mi sento lì dentro, nella sostanza fluida e allora prevale la causa materiale, altri invece in cui mi sento al di fuori, la vedo come oggetto e allora prevale lo sguardo consapevole.
Come nella “Ciotola” questa questione dell’avvicinarsi e dell’allontanarsi si è resa sempre più evidente anche nelle “Sedimentazioni”. Questi quadri sono diventati il fulcro della mia pittura e tengono all’interno della loro natura proprio questo pensiero-azione, visivo e mentale, che riguarda sia me che li faccio sia lo spettatore che li guarda. La convivenza tra la parte monocromatica che ricopre quasi per intero la superficie del quadro e la parte multicolore in alto che è solo un particolare del tutto, spingono in continuazione ad una doppia azione del vedere: da un lato una visione allargata di insieme e dall’altra un’attenzione per il dettaglio. Il dettaglio che porta in sé la storia del quadro, e dice dove guardare, obbliga per forza ad una visione ravvicinata e non può necessariamente separarsi mai dalla totalità. La parte incombente, ipnotica, con la prevalenza di un unico colore, invece, spinge ad ampliare la visione. Ma si è consapevoli che è solo nella coesistenza delle due parti e nella necessaria duplice percezione che si può avere l’esperienza complessiva, l’idea generale di quadro.
INGRANDIRE / RIMPICCIOLIRE
Questo particolare movimento dello sguardo che corrisponde ad un movimento del cervello è proprio quello che ha strutturato il mio di pensare ed è quello che ha scandito il rapporto continuativo e vitale con il dipingere producendo opere pittoriche fatte di stratificazioni di colore nel tempo.
Questo pulsare dell’occhio nel cercare di mettere a fuoco, alternativamente prima da vicino e poi da lontano, il mondo che si forma qui, davanti a me, è quello che mi ha portato, anche, a vedere queste concretizzazioni di materia colorata come singolarità autonome, come dati oggettivi della realtà ed a pormi nei loro confronti come un corpo a sé stante, da un lato catapultandomici al loro interno, sentendomici parte integrante e dall’altra tirandomene fuori, prendendone le distanze.
Da questo spostamento continuo del guardare sono comparsi altri tipi di lavori che rimandano ad opere preesistenti, diventati rappresentazioni emblematiche di questa ininterrotta fluttuazione, riflessi enfatici del movimento del pittore. Sono apparse una serie di cose di dimensioni micro e altre di dimensioni macro, opere che ci mettono, a noi che guardiamo, in una condizione concreta peculiare per la quale ci sentiamo minuscoli oppure enormi rispetto alla forma che ci sta di fronte.
Nel caso in cui l’immagine aumenta di proporzione ingigantendo a dismisura non ci permette più di tenerci a distanza perché siamo talmente attaccati alla materia da non riuscire a vederne i confini e di averne una percezione d’insieme. Quando, per esempio, dopo aver estratto un minuscolo pezzetto dal “Quadro infinito” e averne scattata una foto al microscopio ho realizzato una gigantesca stampa fotografica, il “Carotaggio”, con la quale ricoprire un intero ambiente, si è creata una situazione così esagerata da non farci capire, a noi che guardiamo, se ciò che ci circonda è qualcosa di compiuto oppure è il frammento di qualcosa di infinitamente più grande da uscire addirittura dal nostro campo visivo. La materia è esplosa nello spazio, si è talmente ingrandita da produrre una massa abnorme costringendo chiunque ci si trovi al suo interno da credersi elemento costitutivo della sostanza.
D’altro canto, nel caso in cui le forme si riducono restringendosi esageratamente si ha la percezione di tenerle sotto scacco davanti al proprio sguardo, come nel “Rimpicciolimento Autoritratto” dove l’intero rimuginare attraverso milioni di parole sulla mia pratica pubblicata nel sito “Maria Morganti. Un archivio del tempo” rimane compattata in un’unica pagina senza poter essere letta se non con una lente di ingrandimento perché non percepibile ad occhio nudo. Oppure come accade nel “Rimpicciolimento del Luogogesto” dove il “Luogogesto”, cioè lo spazio fisico che attraverso camminando ogni giorno con il mio corpo per compiere l’azione pittorica, si è trasformato in una miniatura così minima da non essere più il luogo che mi contiene ma l’oggetto che posso tenere in mano. Chi guarda questa miniaturizzazione infatti se ne percepisce totalmente al di fuori da assumere la consapevolezza di poterla afferrare sia in un senso fisico-materiale che in un senso mentale-concettuale, di pensare cioè di essere in grado di possederla interamente.
(Scritto nel 2020)