La “Diarioteca” è stato il primo “Archiviatore” ad essere stato costruito. È nato nel 2008 quando ancora non mi rendevo esattamente conto di cosa fosse, nel momento in cui ho cominciato a chiamare “Diari” quelle stecche di legno che dipingevo prima in maniera inconsapevole nel 2004 e poi in maniera sistematica dal 2005.
Nei primi anni lasciavo asciugare i “Diari” sopra i pioli di una scultura-scala che un amico artista aveva lasciato momentaneamente in deposito nel mio studio. Quando, l’amico, dopo un po’ di tempo è tornato a riprendersela, mi sono dovuta ingegnare a costruire una nuova struttura per immagazzinare le stecche di colore. La struttura è nata, così, riprendendo a grandi linee l’aspetto di quella scultura non mia, trasformandola e adattandola al mio contenuto. La forma che si è generata casualmente ha portato, spinta dall’esigenza, ad un’altra.
All’inizio il mio oggetto, che avevo intitolato “Portadiari”, era composto di pochi scaffali, dentro i quali tenevo i “Diari” prima sdraiati in orizzontale, e solo successivamente, girati in verticale nello stesso verso che hanno tutt’ora. Nel momento in cui li ho allineati in quel modo si è immediatamente fatto spazio per altro materiale e immaginando di immagazzinarne di nuovo ho deciso di ordinarne a sufficienza per avere una superficie pittorica da dipingere per una vita intera. Ho calcolato cioè il tempo della durata di un’esistenza stando più o meno nella media di una donna italiana della mia generazione. (Teniamo presente che sono sempre pronta a modificare o a duplicare l’oggetto se la vita dovesse proseguire. È sempre l’oggetto artistico ad adattarsi alla vita e non viceversa.)
Nel 2011 quindi definendo la “Diarioteca” ho pensato che non mi sarei più separata dai “Diari” e che tutti (quelli in mio possesso e non quelli oramai venduti), d’ora in avanti, sarebbero stati convogliati lì dentro.
Nel 2019 a Venezia c’è stata una acqua alta eccezionale. È entrata anche nel mio studio e sebbene non abbia toccato alcuna superficie pittorica la paura che potesse accadere nel futuro mi ha spinto ad immaginare di rialzare da terra ogni “Archiviatore”. La “Diarioteca”, che già sfiorava il soffitto, avrebbe dovuto essere accorciata di tre scaffali. Non nascondo che la decisione di questo taglio è stato abbastanza sofferto e brutale, la paura era quella che mi stavo accorciando la vita, o meglio, che mi stavo togliendo dello spazio che avrei potuto ricoprire con il mio gesto pittorico durante l’arco vitale, ma poi piano piano è affiorato un altro sentimento, mi sono resa conto che stavo per assecondare il ritmo della formazione del colore che si era assestato, gradualmente nel tempo ad un ritmo di circa tre, quattro tavole all’anno. Mi ero resa conto che le stecche rimaste da riempire erano troppe e se volevo rimanere nel calcolo di una vita media e non di una che supera i 100 anni era giusto diminuire la quantità di materia. La cosa giusta da fare era quindi aggiungere un diario per ogni ripiano ed eliminare l’eccedenza.
Poi quando la decisione dell’amputazione è avvenuta e quando nell’ottobre del 2020 mi sono trovata di fronte al nuovo monolite, l’impressione invece è stata quella di avere davanti a me un oggetto più proporzionato che si era armonizzato e allineato agli altri due il “Quadro infinito” e il “Sedimentario”, nati dopo di lui.
 
(Scritto nel 2021)