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# 27.16

Ereditare e trasmettere

Sull’importanza del ricevere e del passare


 
“Il sapere non può essere acquisito tutto da un solo uomo. Ho accettato quest’idea: sono un anello di una catena.”
(Da Auguste Rodin “Le cattedrali di Francia”)

 
L’archiviazione tramite la catalogazione è una pratica da vivi e non una forma da contemplare dopo che si è morti. Intendo dire che il catalogare è un’azione attiva proprio perché permette all’archivio di continuare a sussistere, a crescere.
L’archivio l’ho fatto come uno strumento da utilizzare in vita e non per cristallizzarlo in una forma quando sarò morta. Chi verrà dopo di me potrà decidere se lasciarlo così com’è, se continuare a farlo vivere o farlo sparire per sempre, a me basta averlo come un arnese per rimanere attiva, sempre rinnovata, in vita. Quello che voglio dire è che mi concentro durante la mia esistenza sulla continuità, ma non sono interessata a pensare alle cose dopo di me.
L’artista non può decidere il futuro della sua opera, essa può persistere o sparire anche al di là del suo volere. E se l’archivio stesso dovesse sciogliersi come neve al sole perché nessuno lo manterrà in vita si potrebbe accettarlo come un naturale svolgimento delle cose.
 
Immagino lo spazio dell’archivio come un tramite, come passaggio tra quello che è venuto prima di me e quello che verrà dopo di me. Nei diari di mio padre ho trovato questa espressione che mi piace molto, “staffetta”, che ha utilizzato per definire la sua scrittura diaristica, la prendo a prestito ora per dire come percepisco tutto l’insieme del mio lavoro e il mio sistema di archivio. Penso a me stessa proiettata all’interno di questo organismo archivistico che faccio coincidere con l’essenziale della mia opera e con tutto quello che sento di avere da dire su di essa e immagino, questa “me stessa”, come l’essere in mezzo tra un punto e ad un altro punto, tra qualcuno che mi precede e qualcuno che arriva dopo. Diciamo che oltre a ciò che ho affermato finora dell’archivio e cioè che è un luogo per catalogare il continuo tempo attuale, lo tengo in mente anche come una possibilità per aprire ad uno sguardo rivolto al futuro avendo ben presente che la reiterazione continua del mio presente altro non è che una trasformazione del presente che diventerà passato.
 
C’è un’opera che condensa in maniera precisa tutto questo ragionamento. Si tratta della “Casa diari papà” alla quale ho dedicato un paragrafo dal titolo “Padre (Piero Morganti)” che si trova nel capitolo in “Incontrare l’altro”. Nei diari di mio padre era già tutto presente quello che poi è scoppiato e si espanso nel mio lavoro: un tenere traccia della propria quotidianità tramite nel suo caso il trasferire parole su delle pagine e nel mio il trasporre colori su delle tele. Per sottolineare tutto questo, per evidenziarlo e sostenerlo ho progettato un oggetto che altro non è che il contenitore dove ho deciso di depositare i diari di mio padre, il posto attraverso il quale simbolicamente mi prendo cura di quello che mi ha preceduto, considerando ciò che è arrivato prima come qualcosa che ha anticipato ciò che faccio. Tutto quello che siamo è una derivazione nel bene e nel male di quello che ha fatto e lasciato chi è antecedente a noi, e noi, non possiamo fare altro che spingerlo in avanti, facendocelo prima nostro, assorbendolo, reinterpretandolo, trasformandolo, triturandolo, elaborandolo, e infine, passandolo nelle mani di qualcun altro.

Per lasciare un’eredità bisogna cercare di arrivare ad una forma di sintesi compatta. Non si può lasciare un peso nelle mani degli altri, ma la leggerezza di una dote svuotata, nella quale il lavoro di selezione, di scarto, di sintesi è già stato compiuto. Non è possibile trattenere tutto se si vuole lasciare spazio agli altri.

Infine, questo ragionamento dell’essere solamente un ponte tra chi c’è prima e chi viene dopo si conclude nella decisione emblematica che ho preso sin da ora di passare simbolicamente nelle mani di mio figlio questo oggetto che contiene l’essenza del nonno, immaginando che un archivio ne sostituisce un altro, che una vita deve fare posto ad un’altra.
 
Altre considerazioni su questo argomento sono state affrontate nel capitolo “Incontrare l’altro” nel paragrafo “Maestro” nel quale si riconosce centrale il rapporto tra allievo e maestro, il passaggio di un sapere, di una coscienza, di una passione che avviene tra un’artista più vecchia ed una più giovane. E nei paragrafi “Madre” e “Prozia” dove si cerca di rimarcare la responsabilità dell’ereditare, e l’importanza dello scambio che avviene di un mondo interiore, di una percezione e di un senso delle cose da una donna ad un’altra donna, da una generazione all’altra.
 
(Scritto nel 2022)
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