2012
I titoli in collaborazione con uno scrittore...
Ricerca ininterrotta.
Un discorso. "Il" discorso.
Ogni tanto riazzerare... mettere ordine. Organizzare per poi ricominciare. Cominciare di nuovo, o meglio, continuare.
Andare avanti con rigore.
Una linearità del tempo. Un ritmo cadenzato come un battito cardiaco.
Accelerare.
Rallentare. Frenare. Fermarsi per poi riprendere.
Discontinuità. Non linearità del tempo. Un tempo che si ripiega su se stesso e che si rimpasta.
Andare a ritroso.
La materia che esce è poca, ma si forma con continuità. Come la goccia di un rubinetto che perde che a poco a poco riempie un contenitore.
La misura che sento è piccola. La quantità è poca.
Errore, casualità, deviazione da un percorso. Cambiare il senso delle cose. Fallimento.
Il discorso sulla pittura sta al centro. Il punto di ragionamento sta dentro alla pittura... Voglio che i lavori che sto facendo a partire dalla pittura ma con materiali diversi siano sempre accostati ad un quadro.
Pensare al momento espositivo come fosse un ready made dei miei lavori.
I miei lavori come identità che nascono e crescono all'interno di questo spazio e quando vengono spostati fuori assumono altro significato.
“Ipermetropia= La difficoltà nel mettere a fuoco gli oggetti, soprattutto quelli posti vicino al soggetto, ma anche quelli lontani.
Nell’ ipermetropia l’occhio non focalizza bene a nessuna distanza, come se si rifiutasse di fermarsi su qualsiasi piano della realtà. Il fatto che sia in genere fisiologicamente un poco più piccolo di un occhio normale, rimanda all’occhio del bambino: sembra quasi un organo meno cresciuto, così come chi lo ospita mantiene alcuni tratti infantili nella propria personalità. C’è un’incapacità di concentrarsi a lungo su un’immagine, il bisogno impellente di passare alla successiva. Chi soffre di ipermetropia non ha quasi mai una distanza visiva sulla quale riposa e dunque, per similitudine, non trova una dimensione di vita in cui sentirsi tranquillo, ma è in stato di continua evasione. La fuga rapida da ogni cosa sembra essere la sua legge. Egli è vorace sia di immagini che di vita, con il risultato di consumare tutte le esperienze troppo in fretta rimanendo alla fine spossato.”
(Da Riza psicosomatica "La psicologia dell'ipemetrope")
La pelle della pittura. Scorticata...
Con il tempo può raggrinzirsi, screpolarsi, sgretolarsi, essiccare, decomporsi...
“... appare in tutto il suo ostinato peso e spessore: aderisce alla tela, raccoglie polvere e raggrinzisce con l'età.”
(James Elkins in "La pittura cos'è?")
Partire da un punto e arrivare ad un altro punto.
Camminare a testa bassa.
Andare avanti e ritornare indietro. Ma mai facendo la stessa identica strada che all'andata.
Fare un calco dello studio. Lo studio è come l'involucro della sedimentazione del colore del stesso. M'immagino lo studio che si possa staccare nelle sue superfici e ricostruire tutto intero da un'altra parte.
Uno spazio concavo che contiene.
Dal metodo Feldenkrais:
Tentare un senso di alternanza. Un pieno e un vuoto. Un movimento e una pausa. Un'attività e una non attività. I movimenti intelligenti sono quelli che portano in sé il senso della reversibilità. Ogni tanto fermarsi, assimilare e smaltire gli accumuli.
Ho costruito uno spazio che si riempirà di tempo.
Nominare ed aprire. Non de-finire e chiudere.
Dare i titoli alle opere. Deve essere qualche cosa di molto semplice che serve a riconoscere che cos'è quella cosa. Poi ci può essere un sottotitolo che apre, più evocativo che non spiega, ma che aiuta a capire.
Andar verso.
Ribadire. Reiterare. Perpetuare. Insistere.
Copresenza. Simultaneità. Tempi diversi in simultanea. La memoria si mescola. Non c'è un prima non c'è un dopo.
Tutto è presente sulla tela. Non si cancella nulla. Nessun segreto.
Torcere le stratificazioni... girare e rigirare la pittura.
Ogni tanto nel procedere fluido si sente come un intoppo, un raggrumarsi, un muro che frena... poi il muro si fa barriera e devia il corso dell'acqua. Si forma un nuovo rigagnolo. Forse diventerà un nuovo corso? Oppure è solo una piccola deviazione?
Essere tutta lì. Nella tela.
Unità di misura: il percorso casa studio.
352 passi da me a me.
Avanti e indietro sempre nello stesso punto. Spinto ad andare ma torna su se stesso. Un movimento raggomitolato. (Vedi la pennellata ad uncino di De Kooning.)
Desiderio, volontà, caso, destino, lasciarsi al procedere naturale delle cose, flusso, una cosa porta ad un'altra, spinta dal desiderio, spinta dalla necessità, pigrizia, lentezza, emotività, scombussolamento emotivo, empatia, pensiero, concentrazione sconcentrata, pensare facendo, intuizioni, associazioni, protesa, introspettiva, fiduciosa, interferenze...
Spazi a misura d'uomo.
Il fango. Il peso della materia che si deposita nell'acqua.
Venezia, la laguna è come la mia tazza del colore. Anzi no è come il pulisci pennelli. Entrambi portano nel fondo il deposito di materia dello scorrere del tempo, del passare delle cose. Il fondo accumula della materia.
Si deve sempre sentire che si cerca.
Frammenti che si aggregano.
Sento piccolo e concentrato.
E' più importante lo spessore dell'ampiezza.
Il lavoro con pietre e stratificazioni di pongo.
Tempo geologico, tempo della terra e tempo umano, della vita.
Due materie diverse. Due tempi diversi che occupano lo stesso spazio. La stessa porzione. Un tempo passato e un tempo presente che si ricongiungono.
Tempi lunghi di gestazione che apparentemente non portano a un cambiamento e poi all'improvviso un colpo di reni, lo scatto.
Il gesto ripetuto, il gesto quotidiano.
Il micro, il macro. Vicino, lontano
Giro attorno. Torsione.
Come se uscissi dal mio corpo e ci girassi attorno.
L'ossessione produce forma: I diari del papà, Opalka. Song Dong, Fernando Oreste Nannetti.
E forse dopo che avrò costituito tutta questa impalcatura, questo contenitore del mio pensiero e del tempo butterò all'aria tutto? Lavorerò sul concetto di sparizione? Dall'accumulo all'annullamento? Fare e disfare? Fare e distruggere?
Non trattenere nulla. Buttare via tutto. Eliminerò qualsiasi accumulo.
Riempirsi di materia. Colmare, colmarsi. Il quadro si carica di materia. Pesa.
La materia nel tempo si ispessisce. La materia è tanta.
La materia collassa. si sgretola, cede, si disfa.
La materia invecchia, si spezza.
Semplificare, ma mantenere la complessità.
Il dubbio.
Riaprire, mettere in discussione. Volver.
Scegliere i propri interlocutori.
Scrivere serve a sviluppare parallelamente.
(Le Clezio "Estasi e Materia")
Andare avanti a dipingere ciecamente. Senza guardare. Senza sapere dove andare.
“...Vado, ma non vado da nessuna parte – come rappresentarlo? (...) non viene mai nulla (...) Il punto di partenza. Ma solo quel punto. Nessun arrivo. (...) la cui avanzata basta se stessa, contenendo insieme la propria ragione d'essere, la propria evoluzione e la propria fine.”
(Le Clezio "Estasi e Materia")
Essere in cammino. Incollarsi alla realtà. Essere presente. Continuare. Stare dentro ad un processo continuo... Poi esco e poi rientro...
Più che altro si tratta di dare un senso a questo gesto ripetuto che sembra sempre uguale a se stesso. Si tratta di rimanere in allerta, presenti...
Non vedo, ma sento.
Non guardo, ma tocco.
Pensare alla normalità e non alla straordinarietà.
Mi meraviglio della cosa che si compie sotto i miei occhi. Poco tempo tutti i giorni. Questa poca quantità forma una certa quantità nel tempo.
Un ispessimento della materia.
Uno spessore del tempo.
“Lo spazio sedentario è più denso, più solido, e quindi pieno, mentre quello nomade è meno denso, più liquido, quindi vuoto.”
(Francesco Careri in "Walkscapes")
Non lasciare tracce permanenti.
Stare fuori dal centro. Ai margini.
A misura d'uomo. Il tempo delimitato dal tempo della mia vita. Lo spazio delimitato dal mio corpo.(Lo spazio dello studio?)
Posso fare solo ciò che è a misura del mio corpo, quello che è la mia misura, il mio tempo, la mia quantità di tempo. Non di più, nè di meno.
Si è formato una porzione di spazio (percorso casa-studio) e tra questi due poli si stabilisce il mio andare, il mio percorrere, il mio pensare, il mio fare...
Stare. Camminare lì dentro.
Pensare facendo, elaborando il pensiero attraverso il rapporto con la materia.
Non mi interessa sperimentare. Cioè non mi interessa vedere come una materia reagisca e migliorarla. Mi interessa lasciare che la materia ci sia, stenderla su una superficie. La metto solamente lì.
Non mi interessa la sapienza tecnica, semmai la conoscenza dell'esperienza. Non voglio evitare che le cose accadano.
Non mi interessa la materia come il tramite per dire qualcos'altro. M'interessa la materia per quello che è. Non la voglio trasformare. Non per atto volontario.
E' che stando insieme alla cosa ad un certo punto si crea un fatto alchemico e la materia diventa qualcosa...
Una materia (un pigmento) che si trasforma in altra materia (la pittura). Da un magma ad un altro magma informe.
Un travasamento.
Un'associazione: La melma, il fondo della laguna e il fondo del mio scola pennelli.
“E tuttavia lo spirito è proprio quello di un esperimento alchemico e artistico. Gli alchimisti erano attratti dalle scorie e dai rifiuti: amavano le pelli sospette che gonfiavano nelle loro pozioni. Frugavano nella brace e raccoglievano mucchi di cenere. Lasciavano imputridire l'acqua e poi rovistavano nella melma granulosa finita sul fondo. Erano affascinati più spesso dalle croste e dalla cenere che non dai colori traslucidi e dagli olii volatili della cottura. La putrefazione, con il suo nome latino putrefactio, è una fase pressocchè universale nel lavoro alchemico. La sostanza limpida deve generare in una muffa salmastra prima di produrre qualcosa che valga la pena di esaminare. La pittura accademica aveva un'affinità naturale con la melma e gli escrementi, per via dell'uso comune di tinte marron e vernici spesse che ingiallivano e col tempo si annerivano...”
James Elkins in "La pittura cos'è?"
Cosa faccio con queste parole? Che cos'è questo borbottio, questo lavorio continuo con la parola che mi segue da anni accanto al lavoro con la materia, parallelo alla pittura?
Diluisco il mio colore con tanta trementina. Ho bisogno di "assottigliare" la materia... Siccome il mio lavoro è costituito da materia sedimentata nel tempo ho bisogno di "spazio".
C'è una relazione tra il farsi della mia pittura in solitudine e le relazioni significative.
La mia tazza.
Un travasamento continuo da un contenitore all'altro. Avanti e indietro sempre dagli stessi recipienti.
Un colore che riprende se stesso tutte le volte.
Un acqua stantia, sporca di se stessa, che si riempie e si fa di se stessa.
Un fluido che non si azzera, non si pulisce. Torbido. Che rimane.
Sempre lì.
Ricurva su di me.
Un appallottolamento.
Una forza centripeda nella ritualità giornaliera. Poi ogni tanto parte una linea tangente che si collega con l'esterno.
Essere testimone di un evento.
Esce da me la materia organica. E si compie qua di fronte.
Creo le condizioni perchè la cosa avvenga.
Non parlo della mia individualità, di me.
Si costruisce, si struttura una realtà con una sua logica, con un suo sistema di esistenza.
Un pensiero che si plasma nella materia.
E' come se i miei quadri avessero assorbito tutta l'acqua della laguna, dei canali di Venezia. E' come se le tele fossero delle spugne a bagno nella acqua salsa e avessero assorbito dal basso verso l'altro la materia, il colore di cui è fatta la materia di Venezia.
Un atteggiamento distratto. Di striscio, non di petto, mi avvicino con la coda dell'occhio con un fare indifferente. Come se cominciassi dal lato, dai bordi. Poi piano piano la cosa prende spazio e prende tempo, prende il suo spazio e il suo tempo e allora si posiziona in una zona più centrale, qui davanti agli occhi.
Un fare con non chalance... indifferenza... Procedere alla larga. Con leggerezza, lascio che la cosa cominci e nel tempo prosegua. Comincia con dei tentativi. Poi delle volte si allarga e prende corpo, altre volte sparisce. Le cose entrano dentro senza che io me ne accorga. Alcune volte entra nel campo visivo qualche cosa che prima non c'era o almeno che prima non vedevo. La riconosco. Allora gli do spazio perchè quella parte possa crescere. Senza forzature.
Altre volte questa parte torna nella sua zona d'ombra e poi sparisce di nuovo.
Cerco il filo conduttore.
Una logica lineare...
Metto a posto. Categorizzo. Faccio ordine. Leggo. Trovo il senso.
All'inizio con i primi lavori: Fisica del corpo. Ora: fisica della mente.
Spazio mentale interiore e spazio fisico oggettivo.
Scorre facile.
Il quadro infinito.
Stratificare il quadro. Tenerlo sempre bagnato come una pianta. Tenerlo in vita.
Mettere uno strato sopra l'altro significa consolidare. Il quadro quando viene interrotto si spezza. Mi posso immaginare un passaggio di consegna... Qualcun'altro dopo di me potrà continuare a stratificarlo?
Si forma il pensiero, si sedimenta la materia. Si sta chiusi e ci si forma. Si sta dentro e ci si conosce. Poi ci si apre agli altri e si crea un'altra materia con le relazioni umane.
Esserci sempre anche nel tempo che non mi sembra mio.
Davanti e dietro. Attraversare con il colore.
Un colore che oltrepassa la tela. Una tela da guardare anche da dietro.
La tazza è viva e sempre bagnata, mentre sulla tela si asciuga e si cristallizza. Nella tazza deve sempre trasformarsi, sulla tela invece si fissa su un punto.
Nel lavoro delle pareti delle carte-diario c'è una serialità nella serialità.
Non subire. Interagire.
Da un lato mantenere una forte connessione con il dentro, dentro me stessa, dentro al mio spazio. Dall'altra un'apertura verso il mondo. Relazionarsi con gli altri.
La tazza si riempie, la tazza si svuota.
Se nego il passato nego anche il futuro. Se tutto è riportato solo al presente e non c'è prospettiva é come negare il movimento, la possibilità di trasformazione. Il presenta diventa sempre passato-
E se questa scrittura rivolta a me stessa ad un certo punto si aprisse verso l'esterno? E se ci si facesse leggere?