Colore colorito
Non bisogna avere paura del colore, sentirlo distante, dimenticarlo, abbandonarlo. L’opera d’arte nel suo essere proiezione di un fare immaginifico è il luogo in cui il colore dimora, anche quando è al limite della sua visibilità. Si dice che, in un punto preciso dell’arcobaleno, forse dove si incontrano e mescolano il giallo e il verde, il colore non abbia un nome tanto è indefinito. Si tratta di un colore che non puoi raccontare in termini percettivi, ma solo pittorici; un colore che dimora sul piano pittorico: colore colorito e corpo pittorico.
Nelle scuole si studia il colore a partire dalle sue proprietà scientifiche: divisioni in settori, cerchi cromatici e piramidi, schemi che traducono il sentire del vedere. Maria Morganti ha grande attenzione per il colore, lo cura – nel senso più heideggeriano possibile -, lo costruisce attraverso il fare, lo pensa e sviluppa come corpo, con un’impronta minima e una grande attenzione alla superficie. La sua tavolozza non è quella della scienza e della tavola del manuale dei colori, il suo colore non ha un numero Pantone, non è codificato perché attinge allo stato più profondo del sua presenza. È un colore che oltrepassa la luce e diventa materia, una materia viva, che fa superficie e diventa spazio. Anche se i colori non sono “reali”, il suo è un colore reale, non un colore prodotto dalla lingua. Un colore sostanza, un colore denso che rende visibile la materia. È il colore dipinto, un colore che si vede ma sopratutto si sente. Un colore pesante, come si nota in assoluto nell’opera Quadro infinito, una tela 50X40 iniziata nel 2006 e ancora in corso, sulla quale Maria – in una sorta di mantra quotidiano – lavora tutti i giorni, un’opera in cui tanti colori diventano uno, uno che in questo caso non significa solo.
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