MARIA MORGANTI
DALL’AUTORITRATTO AL RITRATTO
(Per Eugenia Vanni. Venezia, settembre 2015)
UNA PROIEZIONE DI SE’: AUTORITRARSI (Vedi foto 1)
Quando ho cominciato a dipingere la prima domanda è stata: quale è il rapporto fisico che si instaura tra me (il mio corpo), lo spazio su cui agisco (la stanza in cui mi muovo) e lo spazio su cui lavoro (la tela, la carta, il supporto)? Fissavo impronte che erano conseguenza dei miei movimenti. Non guardavo quello che facevo, toccavo. Si trattava esclusivamente di un rapporto fisico. Il corpo diventava il mezzo per fare esperienza. La mia pelle entrava a contatto con un'altra pelle. La pelle del corpo e la pelle della pittura si toccavano. Ero più interessata all'esperienza tattile che visiva, come se il vedere riguardasse più le dita che gli occhi.
PRENDERE LE DISTANZE: RITRARRE (Vedi foto 2)
Solo successivamente mi sono resa conto sì, è vero, che la pittura coinvolge tutti i sensi, ma il primo contatto passa sempre attraverso la vista. Ho cominciato allora a guardare ciò che facevo staccando questa "la pelle" dal mio corpo. Il corpo si è ritirato da sé, si è separato in due. La membrana si è sdoppiata, ha creato un secondo strato. A questo punto ho posizionato questa superficie, questa "persona" davanti a me ed è così cominciato il dialogo. Nel momento in cui mi sono ri-tratta da me è nata la possibilità di guardare, di ri-trarre ciò che sta fuori lasciando entrare la realtà sulla tela. Questa pelle, questo corpo non è la mia proiezione, non sono io, non è il mio autoritratto, non è l'esposizione di me, ma è prodotto dall'esperienza. È un altro corpo, un organismo distinto da me con le sue regole interne. È nato il corpo della pittura che registra i movimenti dell'esistenza. Un colore al giorno, un colore dopo l’altro si accumulano davanti a me. Si costituisce il fenomeno ed io sono qui che guardo e rimango testimone di quello che succede davanti ai miei occhi.