“Un giorno alla fine di marzo, Maria Morganti mi consegna un quaderno: «Ecco - mi
dice - qui c'è tutto il mio lavoro alla Querini». Era il suo diario. Due anni di appunti scritti nel
museo mentre “sentiva” i colori per poi trasferirli, in studio, sulla tela. Dall'estate 2006
all'inverno 2008. Durante quel periodo, da quando le ho proposto di mettere in relazione suo colore con quello della pinacoteca della Querini, Maria ha frequentato spesso le sale
della fondazione. Ogni volta la stessa ritualità: dopo un breve giro per controllare come
variavano le cromie nella luce del giorno, si sedeva in una delle stanze e aspettava, come
Rilke, di sentire i colori dei quadri. Come se lei stessa fosse stata una carta assorbente su
cui riuscivano a trasferirsi, attraverso lo sguardo, le tonalità e le sfumature delle tele, in un
lento e progressivo processo di osmosi. Alcune volte riuscivamo ad incontrarci in
fondazione, ma lei doveva correre in studio per depositare e “strizzare” quella materia dagli
occhi e depositarla sulla tela, oppure doveva appartarsi per annotare sul suo quaderno
appunti e riflessioni relativi a quell'esperienza…”
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