L’aspetto politico e quello mnestico sono da sempre i due volti dell’archivio. Al suo interno sopravvivono amnesie socio-culturali e brame di potere, e il suo ruolo di guardiano del nostro passato, quindi anche di garante del nostro futuro, deve essere costantemente rivalutato e riposizionato. Gli artisti contemporanei che usano l’archivio come medium o metafora non solo raccolgono, ordinano e registrano, ma riattivano l’archivio stesso – e con esso il tempo – interpretando e mostrando. Come opera d’arte l’archivio è però un sistema classificatorio atipico e per certi versi “impossibile”, questa la tesi che Cristina Baldacci sviluppa nel suo recente libro Archivi impossibili. Un’ossessione dell’arte contemporanea (Johan & Levi, 2016).
Riprenendo le riflessioni contenute nel libro, questo incontro approfondisce i due principali aspetti dell’archiviazione come pratica artistica. Da un lato, quello legato alla memoria personale, quindi al bisogno di collezionare e conservare, tra egotismo e ricerca identitaria, ogni più piccola parte di sé e del proprio lavoro, nella sperenza di avere pieno controllo sulle cose e cercare di alleviare il disagio esistenziale. Di questa attitudine è esemplare il lavoro di Maria Morganti, di cui verrà presentato Un archivio del tempo (www.mariamorganti.it), il suo nuovo sito online che, per l’ossessività e la devozione con cui è stato concepito, può essere letto anche come progetto d’artista. Dall’altro, l’aspetto che riguarda la memoria collettiva, quindi anche il ruolo sociale, politico e culturale dell’archivio come strumento di potere ma anche di critica. È in questo contesto che si inserisce il lavoro di Antoni Muntadas. Per lui l’archivio è un sistema che genera strutture e relazioni complesse che devono essere messe in discussione; è il luogo su cui vigilare per capire certi stereotipi della storia e della cultura mediatica; ma è anche il deposito da cui attingere immagini.
Nel suo nuovo film, In girum revisited… (14’ 32’’, colore, HD 16:9, suono, 2017), mostrato per la prima volta in Italia proprio in questa occasione, Muntadas edita e reinterpreta le immagini dell’ultimo lavoro cinematografico di Guy Debord (In girum imus nocte et consumimur igni, 1978). Come “deriva” situazionista per i canali di Venezia, questo saggio visivo è una metafora dello scorrere del tempo e dell’impermanenza di tutte le cose – non ultime, le idologie e utopie politiche –, che Muntadas riattiva attraverso l’archivio.
(30 novembre 2017)