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Il Perdigiorno. Opera in due tempi
Descrizione Esposizione
Intervento a cura di Claire Tancons, Elisa Fantin e Cake Away, realizzato tra maggio e giungo 2013 a Venezia.
Con: Tommaso Bisogno, Laura Bruni, Francesca Cagnin, Elisabetta Di Maggio, Matilde Di Pietropaolo, Giulio Ernesti, Bruna Esposito, Elisa Fantin, Andrea Giacometti, Gabriella Giuriato, Rodica Istrati, Mariagiulia Leuzzi, Antonella Mazza, Rita Merritt, Cristina Mordiglia, Federica Pellati, Luca Pes, Piero Pes, Roberta Rizzi, Hella Thalmann, Maria Grazia Vetrone, Andrea Zanzotto.
IL PERDIGIORNO
Dedicato a tutti quelli che compiono il loro rito quotidiano.
Agli "ossessivi". A chi prende la serietà con leggerezza.
Alla ripetizione, alla dedizione, alla continuità.
A tutti quelli che costruiscono il loro mondo giorno dopo giorno in una ripetitività che sembra uguale e fine a se stessa, ma che in realtà produce insistenza e trasformazione.
Il girovago, il viandante che porta in giro se stesso, che cammina scanzonato.
L' emblema dell'individuo, dell'artista, ma anche del turista, del cittadino...
Il perdigiorno è colui che per il mondo va e ha la sua "bildung", la sua esperienza di vita. Porta in giro con leggerezza qualche cosa che rappresenta l'essenza stessa della vita? dell'arte? della poesia?
Dal "Diario"
di Piero Morganti
9 febbraio 1995, giovedì
Quando pensa alla Maria, Mia ricorda i versi di Eichendorff:
Denn will er seine Wunder weisen
In Berg und Wold un Storm und Feld...
... colui che lieto
pel vasto mondo va...
Da "Il perdigiorno"
di Jospeh Freiherr von Eichendorff
A chi Dio vuole mostrare una giusta benevolenza,
Quelli lui manda nel vasto mondo,
A quelli lui vuole far conoscere le sue meraviglie
Nelle montagne e nei boschi e nell'acqua e nei campi.
I pigri, che rimangono sdraiati a casa,
Non sono ristorati dall'alba rossa,
Loro conoscono solo l'accudimento dei bambini,
Le pene la fatica e l'affanno per il pane.
I ruscelletti scendono dalle montagne,
Le allodole frullano via in alto per divertimento
Quanto non vorrei con loro cantare
A squarcia gola e un cuore più puro?
Il caro Dio io lascio solo governare,
Il ruscelletto, le allodole, la foresta e i campi
E la terra e il cielo vuole conservare,
Ha anche predisposto le mie cose nel modo migliore.
STRUTTURA DELL'OPERA
1- LABORATORIO
Ognuno trova il proprio colore.
CREARE IL COLORE
Poche persone alla volta per un totale di 40 affiancate da Maria costruiscono il proprio colore.
Ognuno con la propria tazza, il proprio pennello e tanti colori.
Porto gli altri dentro alla modalità del mio processo creativo, passo agli altri ciò che conosco.
Faccio slittare la mia parte intima verso il fuori, verso gli altri. Come se li facessi entrare dentro di me e lasciassi portare via da ognuno un pezzettino di me.
Trasferisco la mia pratica agli altri per fargli vivere un'esperienza. Ciò che faccio tutti i giorni rifatto da ognuno con una modalità libera. Ecco che questo smitizza, toglie enfasi al mio gesto semplice e ripetitivo e accorcia la distanza tra me e gli altri.
Il colore come emblema della soggettività. Ognuno il suo colore, ognuno ha il suo colore, ognuno sceglie il suo colore, ognuno è il suo colore. Ogni colore è una persona. Dietro ad ogni colore c'è una persona.
Si costruisce il proprio colore a partire dalla pratica, lo si scopre strada facendo nel contatto con la materia stessa.
ASSORBIRE IL COLORE
Si assorbe il colore trovato attraverso una spugna di mare.
La spugna come un elemento simbolico che assorbe l'esperienza.
La spugna come un elemento piccolo che si tiene nel palmo della mano.
La spugna come elemento che permette di portare in giro il colore.
ARCHIVIARE, ACCUMULARE
Tutto quello che è servito ad arrivare alla costruzione del colore, tutto quello che ha costituito l'esperienza per arrivare a definire un colore, viene da un lato archiviato in piccoli contenitori e alla fine mischiato con i colori di tutti.
Si mischia la rimanenza, tutto ciò che avanza viene versato in un unico contenitore.
COSTRUIRE L'OGGETTO:
Si costruisce l'oggetto del viandante.
Con un ramoscello d'albero o una canna, un filo di nylon e la spugna colorata.
Un'esile ramoscello di albero lungo circa 1 metro al quale viene appeso un filo trasparente che regge la spugna colorata.
Un oggetto che si appoggia alla spalla, come un fagottino.
2- CORTEO
Una condizione condivisa
40 persone, vestite normalmente, camminano insieme. Ognuno porta sulla propria spalla "il fagottino" e canticchia, uno alla volta, alternandosi con gli altri, il ritornello di una canzone.
Il corteo finisce su un prato. Tutti si siedono o si sdraiano e appoggiano sull'erba l'oggetto con la spugna. Tutti questi pallini colorati si adagiano su una grande superficie verde.
Camminare Insieme e portare in giro quello che si è costruito.
Il colore che ognuno ha trovato attraverso la propria esperienza, la propria sensibilità.
Tanti piccoli grumi densi di colore. Ogni colore è l'essenza di un individuo.
Tanti punti colorati che si muovono nello spazio.
Camminare insieme portando fuori le proprie individualità.
Cantare insieme, ma non all'unisono. Non è un canto corale, ma un canto tra sè e sè.
Uno alla volta. Ognuno lascia spazio all'altro per tirare fuori la sua voce. Singoli individui che cantano come fossero soli cantando sotto la doccia, aprono la voce al massimo oppure canticchiano, fischiettano, mugugnano, stonicchiano, storpiano le parole, o se non se la sentono rimangono muti.
LA CANZONE
La caratteristica è quella di essere una canzone fatalista e contenere in sè temi quali: il destino, la fatalità, il caso, la necessità ineluttabile, il vagabondare, l'andar via, l'andare per il mondo, liberarsi dai pesi e andare spensierato verso...
Si prendono in considerazione i ritornelli di:
"Che sarà"
Del 1971. Di Jimmy Fontana, Franco Migliacci e Carlo Pes Cantata al festival di San Remo da Josè Feliciano e i Ricchi e Poveri
Che sarà che sarà che sarà
Che sarà della mia vita chi lo sa
So far tutto o forse niente
Da domani si vedrà
E sarà sarà quel che sarà
"Io vagabondo (che non sono altro)"
Del 1972. Autori per il testo Alberto Salerno e per la musica da Damiano Dattoli. Cantata da I Nomadi
Io vagabondo che son io,
vagabondo che non sono altro,
soldi in tasca non ne ho ma lassù mi è
rimasto Dio.
"Vagabondo"
Del 1970. Di D'Ercole, Morina, Tommasini. Cantata da Nicola Di Bari al festival di San Remo
Vagabondo vagabondo
Qualche santo mi guiderà
Ho venduto le mie scarpe
Per un miglio di libertà
Da soli non si vive
Senza amore non morirò
Vagabondo sto sognando delirando
"Que sera, sera (Whatever will be, will be)"
Del 1956. Scritta da Jay Livingston e Ray Evans. Cantata da Doris Day nel film di Alfred Hitchcock The man who knew too much.
Que sera, sera
Whatever will be, will be
The future's not ours to see
Que sera, sera
What will be, will be
"Il cuore è uno zingaro"
Del 1971. Di Franco Migliacci e Claudio Matone. Cantata da Nicola Di Bari e Nada al festival di San Remo.
Che colpa ne ho se il cuore è uno zingaro e va
Catene non ha, il cuore è uno zingaro e va.
Finchè troverà, il prato più verde che c'è
Raccoglierà le stelle su di se
E si fermerà chissà... e si fermerà.
3- INSTALLAZIONE
Lasciare in giro i segni del passaggio
Dopo il corteo, le spugne appese all'aperto nella città.
L'esperienza di aver costituito il proprio colore, il portare in giro il proprio colore, il tenere il proprio colore assieme con gli altri in un passeggiata comune lascia dietro di sè una traccia, la sua presenza.
4- MOSTRA
Guardare insieme ciò che è stato
Le spugne, le tazze, i colori... tutto ciò che rimane dell'esperienza del workshop insieme alla documentazione del workshop, del corteo e dell'installazione.
NOTA SULL'OPERA
L'opera viene considerata in progress e potenzialmente ripetibile in tempi e luoghi diversi.
Nel tempo si accumulano colore e rapporti umani.
Le canzoni possono cambiare di volta in volta e potranno essere scelte insieme alle persone coinvolte nel luogo dove verrà eseguito il pezzo.
IL MIO GESTO VERSO GLI ALTRI
Sedimentare. Accumulare. Lasciare tracce. Tirar fuori. Dall'atto individuale a quello di gruppo.
Mi immagino che le cose prodotte nello mio studio comincino ad animarsi e a muoversi.
Il piacere di essere interrotti nella propria concentrazione, nel proprio discorso solipsistico: aprirsi all'esterno.
Mantenere il proprio gesto e portarlo fuori.
Il mio procedere quotidiano come può mettersi in relazione a quello di altre persone? Come aprire il proprio gesto intimo all'esterno?
Da dentro a fuori: dall'azione solitaria a quella di gruppo.
Portare in giro ciò che sta dentro.
Simbolicamente portare se stessi fuori a spasso nel mondo.
Prestare agli altri quello che ho trovato. Un processo, un metodo.
Portare gli altri vicino vicino a me.
Condividere con gli altri ciò che sta dentro di me.
Far slittare il mio rapporto intimo con me stessa, con la mia materia, con la mia esistenza nel fuori con gli altri.
Attivare un posto comune
Creare un luogo dove far sì che le persone possano esprimersi
Creare le condizioni perchè le cose avvengano
Aiutare a tirare fuori il proprio colore.
Da poco a tanto
Una materia a misura d'uomo.
La materia prodotta da una singola persona che da sola sembra poca diventa tanta quando avvicinata a quella di altri.
Da uno a tanti
L'unione fa la forza.
Aggiungere. Accumulare. Avvicinare. Sommare. Intrecciare. Mischiare.
1+1=2; 2+1=3; 3+1=4 ecc.
Un giorno dopo l'altro, un colore dopo un'altro, una persona con un'altra persona...
Allargare il gesto nello spazio
Aprire, svolgere, distendere, dipanare.
Sparpagliare e muovere nello spazio.
La matassa della materia che si avvolge su stessa. Come aprirla, distenderla all'esterno?
Occupare lo spazio, spostandosi da un punto ad un'altro punto.
Camminare insieme
Camminare insieme e muovendosi lasciare tracce del proprio passaggio
Fare un rituale insieme ad altre persone. Stare insieme. Condividere uno spazio. Camminare insieme agli altri.
Come dare dignità a tanti atti solitari? Come mettere in relazione le soggettività e le individualità? Come condividere insieme uno spazio?
Da tutti a uno
Quello che viene prodotto in solitudine se poi viene messo in comune all'esterno cosa riporta poi nel discorso individuale?